Ipocondria
Oggi parleremo di Ipocondria. Tutti conoscono questa parola, sanno cosa significa, eppure mi scontro settimanalmente con una gran confusione vissuta dalle persone che esperiscono questa particolare sindrome.
E’ un problema sempre più frequente, che colpisce giovani e anziani, dottori e operai. A quanto pare, spulciando il web, ne soffrono attori come Tom Cruise – che per inciso ha arruolato un medico che si dedica completamente alla figlia – Barbra Streisand e John Travolta. Nonostante sia un disturbo conosciuto sin dall’antichità, ancora oggi mancano strumenti in grado di monitorarne la diffusione.
Certo è che gli ipocondriaci costituiscono una fetta significativa dei frequentatori delle sale di aspetto di ambulatori e ospedali. A soffrire di questo disturbo sono soprattutto le donne, più soggette all’ansia, ma quando colpisce gli uomini si manifesta in forme più accentuate, quali l’ipocondria delirante, che ha ripercussioni sull’apparato cardiovascolare e gastrointestinale.
Purtroppo le tecnologie di oggi non aiutano, poiché le persone ipocondriache iniziano a utilizzare internet per cercare informazioni sui sintomi che il loro corpo avverte.
S’inizia così a visitare i siti che parlano di medicina, per finire ben presto a ricercare diagnosi affrettate inserendo i sintomi del disturbo nel motore di ricerca. Il risultato è di entrare in un circolo vizioso che peggiora solo la situazione psicologica della persona.
L’Ipocondria è sempre più diffusa perché è strettamente correlata all’Alexitimia. Quest’ultima è la difficoltà a nominare le proprie emozioni. Nella nostra società poco avvezza alla riflessione interiore, perennemente orientata alla pragmaticità, le persone sono disabituate a attribuire un nome ai propri vissuti, al proprio disagio psicologico.
Con il tempo, non si riesce più a vivere i propri stati emotivi, che sono direttamente interpretati come segnali corporei. Immaginate un bambino che ha paura dell’acqua, e la mamma interpreta la sua riluttanza con il messaggio ”ha la febbre”. Con il ripetersi di questa modalità di interazione la persona non riuscirà a interpretare correttamente i propri stati emotivi, considerandoli sintomi di chissà quale disturbo organico.
Di solito vengono presi dall’ipocondriaco fischi per fiaschi (è un tumore o un’infezione da HIV?) e inizia un viavai di esami fisici che portano alla dimostrazione che non è presente nulla nel proprio organismo che non va. Quello che osservo è che capita troppo spesso che un medico dica: “Lei non ha niente”. Invece non è vero che non è “niente”, è una sindrome invalidante che ha un nome, ipocondria, e che dovrà essere affrontata in quanto porta estrema sofferenza per la persona che ne è affetto.
L’ipocondriaco il giorno dopo la visita è di nuovo tormentato da sintomi e inizia il calvario. Non esistono farmaci veri e propri per la cura dell’ipocondria, ma la causa e la soluzione di questo disturbo va ricercata in ambito psicologico. Solitamente il medico di famiglia dovrebbe riconoscere per primo il paziente ipocondriaco e inviarlo a uno psicologo clinico.
Esistono specifici percorsi terapeutici che consentono all’ipocondriaco di riappropriarsi della propria mappa emotiva, tornando a saper attribuire alle sensazioni che prova una valenza reale e oggettiva.
L’approccio terapeutico segue un doppio filone. Un buon punto di partenza per cominciare a fare spazio alla terapia è il concetto di stress, un ponte che aiuta il soggetto a farsi un’idea rispetto alla necessità di ricondurre alla sfera emotiva quei sintomi che solitamente lega alla sfera corporea.
Anche parenti e amici possono aiutare l’ipocondriaco a mettere in luce la natura ripetitiva del suo malessere fisico.







