Quando La Famiglia Scopre Che Il Proprio Figlio è Gay
Desta scalpore, in questi giorni, la dichiarazione di Tiziano Ferro: “Sono omosessuale”. Siamo rimasti sorpresi dalle parole di Lele Mora, che parla di una presunta relazione (a suon di milioni e di auto di lusso) con Fabrizio Corona. Settimane fa, tale Robert Randolph ha parlato della nota omosessualità di John Travolta, che avrebbe addirittura una relazione fittizia con la moglie per mantenere la “facciata” di macho e sciupa femmine.
Ma come reagisce una famiglia alla notizia che il proprio figlio sia omosessuale? Generalmente, possiamo riconoscere sei fasi.
La prima fase è quella della negazione. Una famiglia tipica non può credere che il proprio figlio, che conosce così bene, possa essere gay. “Si tratta solo di aspettare la ragazza giusta e il momento difficile passerà.”
La seconda fase: le spiegazioni. Cito il racconto di un professore della chiesa Luterana d’America, Paul Egerston: ”Il nostro stato d’ignoranza era tale che solo due opzioni ci sembravano possibili. O lui aveva volontariamente scelto uno stile di vita contro la natura e la volontà di Dio, oppure sua madre ed io come genitori avevano inconsapevolmente contribuito ad uno sviluppo perverso della sua sessualità. O sua madre lo aveva reso poco mascolino con un “amore soffocante” oppure io ero stato un padre debole, inefficace e / o troppo assente.
Poiché non riuscivamo a convincerci che questo ragazzo dotato di un solido senso morale avesse improvvisamente scelto uno stile di vita deviante, la colpa doveva essere stata la nostra inadeguatezza come genitori. Abbiamo preso in considerazione per un po’ tale spiegazione, ma non riuscivamo proprio a vedere come si potesse applicare nel nostro caso. Così siamo andati in cerca di altre spiegazioni e a quel punto è iniziata la nostra educazione.
Abbiamo imparato che ci sono diverse teorie sulle cause dell’omosessualità, in conflitto l’una con l’altra; che nessuna di essi può essere provata in misura sufficiente da produrre un consenso generale e che l’unica verità certa in questo momento è che nessuno lo sa veramente.
Il fatto è che attraverso il tempo, le nazioni, razze, culture e classi, una percentuale consistente di persone in ogni popolazione sono appunto omosessuali e la colpa non può essere imputata a nessuno.”
La terza tappa è la ricerca di una soluzione; il momento in cui la famiglia cerca tipicamente l’aiuto di uno Psicologo per ricostruire un equilibrio all’interno delle proprie dinamiche.
Leggiamo le parole del prof. Egerston: “C’erano due possibilità: l’intervento divino e la terapia psicologica. Nostro figlio sapeva fin dalla prima infanzia che c’era qualcosa di molto diverso in lui e fin dall’adolescenza sospettava che questa differenza fosse una cosa inaccettabile per Dio.
Essendo un cristiano devoto, egli si era dedicato alla preghiera e alla fiducia nella grazia e nella potenza di Dio. I predicatori dicevano che Dio amava incondizionatamente tutte le persone e poteva provocare un cambiamento nelle persone che venivano a lui con un cuore affranto e umiliato.
Così, per anni, notte dopo notte nel chiuso della sua stanza, egli aveva messo il suo cuore affranto e umiliato davanti grazia del Signore. Ma Dio non lo ha cambiato. Significava che era così difettoso che anche un Dio misericordioso non lo amava? Quale altra conclusione poteva trarre la mente di un adolescente? (Predicatori, attenzione! Alcune persone prendono sul serio quello che dite).
Dal momento che l’intervento divino non aveva avuto successo, forse poteva averlo la terapia psicologica. Così ci siamo messi a cercarne una, solo per scoprire che la maggior parte degli psichiatri e psicologi sono da tempo giunti alla conclusione che l’omosessualità non è una malattia e che nessun sistema noto di trattamento può cambiarla.
Il comportamento omosessuale può essere modificato dal condizionamento verso il celibato, ma l’orientamento interiore affettivo di un vero omosessuale non viene cambiato; e questo era il vero nodo per noi, perché l’attività sessuale non era il problema.
In breve, non c’era un modo conosciuto di risolvere la questione. Il meglio che la terapia può fare è aiutare le persone gay e lesbiche ad accettare la realtà del loro essere, prima che la vergogna socialmente imposta e la sofferenza personale causate da questa realtà li spingano alla disperazione, al bere, alla droga, o al suicidio; tutte cose che ogni giorno accadono a tante persone nel nostro mondo.” Delle ultime tre tappe del processo parleremo nella rubrica LiberaMente della prossima settimana.